Giorni.
di Marco Celati - venerdì 25 ottobre 2019 ore 07:00
Un giorno qualunque è trascorso, questa fra tante è l’ora più cara, quando la notte riacquista il suo silenzio, perché tutti sono tornati nelle case, dentro le loro vite. Giacciono sui letti sudando di caldo, di amore o se ne stanno soli al fresco, sotto il brusio dei condizionatori. Auto e motori hanno cessato di violentare ogni suono accettabile e restano parcheggiati e inermi nel piazzale oppure scorrono fruscianti lungo la statale verso chissaddove. Il mio posto è sul terrazzo a scrivere, lontano dalla gente e dalle cose, nel fresco che la notte di fine estate finalmente concede. Gli alberi sono fermi e grigi, i lampioni gialli punteggiano il buio. Invoco un refolo di vento, un cane latra in lontananza e la campana della torre civica batte i suoi rintocchi. Amo questo silenzio relativo, mi piace questa solitudine che non è abbandono, ma singolarità, quiete, non desolazione e mi lascio prendere dal sonno. Chiudere gli occhi, non vedere o sentire niente, sollevarsi dagli affanni, dalle fatiche, lasciare il mondo e la sua realtà, abbandonare la vita sapendo di non perderla.
E l’indomani sarà un mattino qualunque. Il cielo grigio. Il vento che muove gli alberi. L’aria fresca che odora di pioggia. Si avvicina un temporale. Tuona. Si odono spari di caccia. L’uomo maldestramente imita la natura, l’offende, ne asseconda gli eventi o li contrasta. E la vita prosegue, nonostante. La vita che è un carnevale, fatta di frammenti, di dimenticanze, di lontananza, di lacerti, di strappi che il tempo non ricuce. Che il tempo cuce e scuce. Ho avuto per essa più di un moto di presunzione e sufficienza. Di ripulsa talvolta. Con i più miti, i migliori, si accanisce, si approfitta. Non è meritocratica, ma dominata dal destino. Ti mette alla prova, poi ti spezza. E non parlo di me. Intanto le cose cambiano immutabili, si resta alla fonda, in mancanza di approdo. Prima o poi si arriva al punto, al dunque, al nonostante ciò. La vita si sconta, un fastidio crescente che tuttavia dispiace a tutti lasciare. Così priva di senso come appare, ti verrebbe da farla trascorrere inutilmente. E sia quel che sia. Alla fine però diventa un privilegio poterle essere di qualche utilità. Per molti, per qualcuno o per se stessi. Solo avremmo bisogno di giorni leggeri, lasciarsi alle spalle le cose e andare alla via così. Lontano dalle solitudini, come dal fastidio della folla.
Se fossi un fiume mi basterebbe un corso d’acqua e mi piacerebbe scorrere fuori dal turbinio della corrente, ma senza perdermi nei ristagni, nelle gore dove l’acqua, come la vita, s’impantana. Imputridisce. Passare sopra i sassi levigati e chiari, lungo le folte rive erbose, lambire i rami penduli dei salici, salutare uccelli, bagnanti e pescatori. Sfociare in mare aperto, fluido, leggero, essere acqua, vapore, nuvola. E infine l’ombra delle nubi sulla terra che il vento porta via. Mescolarmi a tutto e niente, nel ciclo ininterrotto delle cose.
Pontedera, Settembre 2019
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“Dal terrazzo” foto rielaborata dall’autore
Marco Celati