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giovedì 28 marzo 2024

SORRIDENDO — il Blog di Nicola Belcari

Nicola Belcari

Ex prof. di Lettere e di Storia dell’arte, ex bibliotecario; ex giovane, ex sano come un pesce; dilettante di pittura e composizione artistica, giocatore di dama, con la passione per gli scacchi; amante della parola scritta

Nozze e fichi secchi

di Nicola Belcari - martedì 09 maggio 2023 ore 09:40

“Al mondo c’è una donna a me ignota che ho reso felice, senza che lei lo sappia: la donna che non ho sposato” (H. Spencer)

Il matrimonio: legame giuridico e cerimonia. Appunti e spunti di un aspirante wedding planner (esperto di how to throw money out the window) in attesa dell’approvazione del bonus matrimonio (a riprova non necessaria della degenerazione dello “stato sociale”).

Con il matrimonio il luogo comune è in agguato, concetti stereotipati e facile ironia si sprecano. A volte sono paradossi (di frequente insinceri) per il gusto del paradosso. Si potrebbe cominciare proprio così; con una riflessione e una testimonianza. Nel matrimonio ci sono compromessi tra i coniugi che scontentano tutt’e due. Talete, filosofo e matematico, uno dei sette sapienti, spiegò di non essersi mai sposato perché in un primo tempo era troppo presto e dopo era troppo tardi. E via dicendo.

Con l’occasione, ma convintamente, anch’io ho coniato un aforisma. Gli amanti che vivono insieme si sono infilati in una gabbia; col matrimonio chiudono la porta. Si può essere felici anche così: contro natura.
Il matrimonio è la tomba dell’amore? Come proclama il proverbio più noto in materia. Qualche volta è la tomba della sposa: Francesca da Rimini, Pia de’ Tolomei, Anna Karenina sono le principali esponenti di una lunga lista. È il desiderio dei desideri delle donne che poi ne sono le vittime, nella normalità, senza che si giunga a esiti fatali. Accorgersene sarebbe un passo avanti. Mai intervisteremmo Griselda, eroina a sproposito, sulla bontà dell’istituto: la sua idea è tanto positiva quanto aberrante e sorpassata, e speriamo superata.
Il matrimonio era il coronamento di un sogno comune alle fanciulle (se è buona regola partire dall’etimologia, il termine “discriminante” è usato di proposito) dei secoli scorsi. Una meta quasi esclusiva per una donna che si liberava della tutela del padre per passare a quella del marito, nel ruolo di sposa e madre: un cambiamento radicale di vita, anche se pur sempre subordinato. Usciva dalla casa paterna dove non poteva nemmeno affacciarsi alla finestra, né permettersi altri simili comportamenti compromettenti, pena la nomea di civetta, quando non proveniva direttamente dal convento, consegnata all’altare (del sacrificio) dal padre al futuro padrone.
Pur di scrollarsi di dosso la tirannia paterna la giovane non andava per il sottile nella scelta dell’uomo, nella vana speranza che costui dopo il primo bacio si sarebbe trasformato, rotto l’incantesimo, da rospo in principe. Quando l’amore notturno non compiva il miracolo la delusione era pesante, spesso peggiorata se col tempo avveniva il contrario e un fidanzato passabile si mutava in un “anfibio” (dalla doppia vita) di una quotidianità, appunto, “stagnante”, trascurando le galanterie del corteggiamento, giudicate ormai inutili.

Oggi resta solo l’abito da sposa per sentirsi protagonista; il giorno dopo sarà uguale al giorno prima senza la differenza di una virgola. Un folklore nel senso peggiore, non contro-cultura popolare, ma tradizione sbiadita, stanca ripetizione senza il senso del tempo passato. Gli sposi si conducono, si trascinano di fronte al ministro del culto, o al delegato del sindaco, reduci ammaccati di turbolenti addii al celibato e al nubilato di cui la cerimonia nuziale rischia di essere la triste appendice.

Per la verità anche oggi capitano matrimoni memorabili. Per esempio: sul finire del pranzo, quando gli alcolici hanno già prodotto effetti, si scatena una rissa degna di un saloon del selvaggio west, tra i parenti dei due schieramenti, magari per una parola di traverso o per il saldo del conto; oppure la sposina è sorpresa in un anfratto del ristorante, in una situazione incompatibile con il proprio stato civile appena inaugurato, con un uomo diverso dal marito nuovo di zecca, che sia un invitato o no sposta poco. È ovvio che le parti potrebbero, e con maggiore probabilità, essere invertite, ma così fa più colpo, e comunque nessuno dei due ci fa una bella figura.
Quasi sempre poi risulta un giorno indimenticabile soprattutto per il dolore lancinante provocato dalle scarpe nuove e troppo eleganti per essere comode.

E i matrimoni scalognati? Avversati da piccole o grandi disavventure. L’anello nuziale cade in un tombino, dove qualcuno dovrà pur calarsi per recuperarlo. La cugina della sposa si sloga una caviglia rovinando a terra nello slancio, un vero e proprio mezzo tuffo, per afferrare al volo il bouquet lanciato all’indietro. Lo sposo inciampa nello scalino nel varcare la soglia con la mogliettina in braccio, con conseguente frattura di una costola (la famosa costola). Il pesce dell’antipasto risulta avariato e provoca un via vai alla toilette. Lo sposo perde la capsula di un incisivo nel tentativo di togliere la giarrettiera dalla coscia della sposa.

Tutto ciò può accadere considerata la pericolosità dei rituali e delle consuetudini: dal lancio del riso, al taglio della cravatta, a legare barattoli dietro l’auto, in poi. Perciò possiamo ben dire che i guai, i due, se li sono cercati.

Nicola Belcari

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