Raffaele De Rosa : la fantasia e il sogno
di Riccardo Ferrucci - sabato 04 agosto 2018 ore 15:29
Abbiamo incontrato Raffaele De Rosa in occasione della sua ultima mostra ospitata al Palazzo del Pegaso a Firenze presso la sede del Consiglio Regionale della Toscana. La mostra “Le città di Calvino” è l’ultima conferma delle grandi qualità pittoriche e artistiche di De Rosa, un autore che non si stanca di costruire i propri sogni e le proprie avventure con un’abilità artigianale sapiente, erede delle grande botteghe rinascimentali toscane. Niente di più lontano da questa arte sapiente le sperimentazioni linguistiche dell’arte contemporanea, che spesso nascono da abili operazioni di mercato e di marketing, ma che nascondo dietro al successo un vuoto di idee e di creatività.
E’ bello che il nostro autore renda omaggio allo scrittore più grande del novecento italiano, Italo Calvino, ed in particolare al suo libro più poetico , “Le città invisibili”. Lo scrittore Calvino è nato a Sanremo , De Rosa è nato in Lunigiana a Podenzana terra di miti e leggende, da queste comuni radici nasce un incontro naturale di comuni sensibilità che portano ad una serie di opere meravigliose. Vedendo questi quadri nasce spontaneo pensare alle “Città invisibili” , ma anche ad altre opere fantastiche dello scrittore ligure come “Il cavaliere inesistente” o “Il visconte dimezzato”.
De Rosa nasce nel 1940 a Podenzana (Ms) e fino a sei anni resta in Lunigiana. Si trasferisce prima a Pomarino, poi a Napoli vicino al cimitero di Poggioreale. Trascorre la sua infanzia e la sua vita con i nonni, anche se in effetti cresce isolato ed impara a giocare da solo nel tentativo costante di trasferire il suo spirito in animali, oggetti, piante. Obbligato dalla nonna a suonare il violino, strumento che odia, si mette a dipingere di nascosto. Frequenta un corso di decorazione e intorno ai sedici anni va a Livorno dove incontra un gruppo di giovani pittori con i quali inizia a dipingere dal vero. Con il collega e amico Pieri De Rosa frequenta la Scuola Trossi dove tra i vari maestri incontra Gastone Benvenuti, Cocchia e lo scultore Guiggi, ma lo stile del neorealismo non gli appartiene. Sempre a Livorno si mette in contatto con artisti già affermati e con mediatori e mercanti d’arte. Inizia la sua carriera nell’arte che non s’interromperà più.
Quali sono le ragioni che ti hanno spinto a scegliere un autore come Calvino per le opere di questa mostra. Cosa hanno in comune i tuoi viaggi fantastici e i racconti del grande scrittore italiano ?
All’inizio non amavo molto Calvino lo trovavo un autore un po’ rigido ed ermetico, poi l’ho scoperto attraverso la lettura di Cesare Pavese. La figura di Calvino mi ha ricordato molto il mio nonno che è vissuto in Lunigiana: una terra un po’ magica ai confini tra Emilia Romagna, Toscana e Liguria. I racconti di mio nonno aveva un grande fascino su di me, magari erano tutti inventati. Anche Calvino ha rappresentato un incontro con un mondo fantastico e poetico, l’incontro con le “ Città invisibili” è stato importante ed io ho cercato, con la mia pittura, di dare una visione personale di questo mondo, di raccontare le mie città quelle che ho visitato e che vivono nella mia memoria, nei mie sogni.
Oggi la pittura contemporanea è molto minimalista, con opere che attraverso pochi segni o graffi cercano di raccontare il nostro presente. Al contrario nella tua pittura si coglie un grande lavoro, un’opera artigianale che ricorda le vecchie botteghe rinascimentali.
Io sono molto interessato alla pittura contemporanea, al lavoro di questi giovani artisti, però a me non basta un segno per raccontarmi. Ho bisogno di lavorare a lungo sui miei dipinti, come un sapiente artigiano, e raccontare tutte le mille piccole emozioni che provo quando sono davanti ad una tela. Voglio elaborare un racconto completo, una sorta di romanzo alla maniera dei “Promessi sposi “ di Alessandro Manzoni. Divento come un regista che crea sulla tela un proprio mondo : le città, i personaggi, le scene di battaglia, le scene di amore. Sento la necessità di creare una storia e un’avventura da vivere.
La tua pittura fantastica come si pone nei confronti della tradizione della pittura dei macchiaioli che hanno una grande tradizione nella città di Livorno in cui vivi ?
Quando sono arrivato a Livorno che avevo sedici anni non sapevo neppure disegnare, negli anni cinquanta ho cominciato a dipingere e come maestri c’erano artisti come Romiti, Filippelli, Natali. Per sei anni ho cercato di imparare a dipingere dal vero e per circa vent’anni ho fatto una pittura paesaggistica e post macchiaiola. Questo lavoro di anni mi ha insegnato ad usare il colore, il disegno e poi ho cominciato a raccontare altre storie, ma con questa grande tradizione alle spalle.
Quale rapporto hai con una città come Firenze, culla del rinascimento, dove torni con una tua mostra personale.
La mia prima mostra a Firenze risale al 1972 quando ho esposto alla Galleria Pananti. Ho venduto tutti i dipinti che avevo esposto. Poi ho fatto molte altre mostre in questa città, il mio primo mercante è stato Remo Bianco ed ho un grande rapporto d’amore con questa meravigliosa città.
Come nasce questo tuo meraviglioso mondo fantastico ?
Io sono un’autodidatta, ho bisogno di star solo nel mio studio e creare le mie visioni. Cancellare, aggiungere, la pittura nasce da uno strano incontro tra dilettantismo e professionalità. Io sono come un bambino, padrone del suo mondo che è lo studio dove vivo e passo gran parte del mio tempo, mettendo in scena i miei sogni, le mie letture, le mie emozioni .
Riccardo Ferrucci