Se pubblicassimo e leggessimo solo libri bilingui?
di Roberto Cerri - lunedì 13 luglio 2015 ore 21:15
Per formare una vera comunità europea (base indispensabile per ipotizzare un autentico governo europeo), serve un'opinione pubblica che si senta anche europea, oltre che italiana, tedesca, greca, ecc. Un'opinione pubblica con almeno due identità, ammesso che questo sia ragionevolmente possibile (gli psicologi che ne pensano?).
Una legata alla lingua materna, alle tradizioni natie, agli avi, alla cultura locale, ecc. ecc.. E una legata al Sogno Europeo, fatto di grandi spazi, di grandi opportunità, di accoglienza, di un'infinita varietà di genti, costumi, tradizioni. Questa identità europea, però, non basta volerla a parole. Non è un bisogno immediato. E' una tradizione comune da tirare su con pazienza. Va coltivata. Di più. Va costruita. Tutti i giorni.
Con tenacia. Effettuando almeno tre azioni forti:
1. l'inserimento obbligatorio del bilinguismo negli atti amministrativi e pubblici in genere;
2. la presenza nei curricoli scolastici dei paesi dell'Unione di una materia che coltivi lo spirito e gli ideali europei (oggi c'è solo un po' di storia europea e poco altro), ed infine
3. la stampa di libri e giornali (ma anche settimanali) bilingui.
Dove bilingue vuol dire la lingua dello stato o della regione (se si vuol dar spazio anche ai regionalismi) più l'inglese. Si, gli italiani dovrebbero apprezzare Calvino, Pasolini e, perchè no?, anche Camilleri o la Sveva Casati Modignani oltre che in italiano anche in inglese. Leggere i resoconti delle mirabolanti imprese di Grillo o di Renzi anche nella lingua di Milton.
E gli editori dovrebbero decidere se la loro ultima scoperta può essere proposta in Europa e nel mondo anche in lingua inglese, investendo direttamente loro, gli editori italiani, in questa avventura (e se va bene, ricavandone un bel guadagno). La Comunità europea potrebbe incoraggiare e sostenere finanziariamente, almeno per un triennio, le case editrici europee che, nei loro paesi, decidessero di pubblicare libri e riviste in due lingue.
Quella autoctona e l'inglese. Contestualmente l'Europa dovrebbe cessare di favorire il multilinguismo, che è una gran bella idea ma senza alcun impatto percepibile sulla costruzione dell'identità europea. Solo un bilinguismo “spinto”, nel giro di una o due generazioni, potrebbe far sì che la gran massa degli europei (oltre il 90%) arrivasse a parlare e scrivere correttamente l'inglese come Lingua Comune Europea. E solo così l'inglese diventerebbe la lingua per muoversi, vivere, lavorare e fare affari in Europa, fondando, sul serio, la cittadinanza linguistica europea.
Come effetto collaterale non trascurabile, l'Europa allargherebbe anche il mercato del libro e dei periodici, nonché delle professioni collegate a questo comparto. Sarebbe un gran bel salto anche per il nostro asfittico mercato editoriale: più costi, ma anche più mercato. Molto più mercato. E non solo europeo.
I Cinesi, ad es., che non sanno un tubo di italiano, potrebbero infatti comprare un libro in inglese e italiano, stampato da un editore italiano. Lo stesso i russi e gli indiani. Ok, l'editore italiano dovrebbe realizzare un surplus di investimento, ma questo aprirebbe davvero il mercato mondiale anche a tanti piccoli e medi editori che sulle ali del bilinguismo potrebbero giocare da soli la loro internazionalizzazione. Cosi l'Europa prenderebbe due piccioni con una fava. Tutto il mercato anglofono diventerebbe anche un mercato europeo e veicolerebbe la parte migliore della cultura europea. Inoltre ogni europeo dovunque si spostasse troverebbe sempre libri accessibili non solo nella lingua del paese in cui si è catapultato, ma nell'inglese divenuto sempre di più una formidabile lingua di mediazione, per la vita quotidiana e per l'intrattenimento, a livello europeo.
Dimenticavo. Perché l'inglese come lingua comune europea? Perché l'inglese è già la lingua degli scienziati di tutto il mondo. Perché la maggior parte delle riviste scientifiche, anche quelle legate alle humanities, si scrivono in inglese. Perché l'uomo contemporaneo, l'europeo di oggi, per pensarsi europeo, ha bisogno di una koinè. E la lingua che oggi in Europa è già ìnfrastrutturata per diventare la lingua base è l'inglese, che è anche la lingua più internazionalizzata e probabilmente la più economica.
Forse un'idea del genere farà orrore ai puristi e ai nazionalisti. Salvini mi odierà a morte. Gli Accademici della Crusca mi malediranno. Ma se la proposta di diventare europei anglofoni la sostengono anche linguisti ed intellettuali come Tullio De Mauro, beh questo vuol dire che le mie convinzioni non sono poi del tutto infondate. Forse servirebbe un movimento culturale che si battesse per il bilinguismo. E magari ci vorrebbe un Manifesto che fissi i paletti in pochi e chiari obiettivi. Un manifesto sintetico, del tipo:
1. la cittadinanza linguistica europea prevede l'inglese come lingua di riferimento;
2. Tutti gli atti delle istituzioni europee dovranno essere prodotti solo in inglese e accettati solo in inglese;
3. Anche i singoli stati che aderiscono all'Unione dovranno produrre e accettare atti redatti in inglese.... A questo basterebbe aggiungere poco altro.
Il bilinguismo (il cui elemento fisso è rappresentato dall'inglese) è una scelta europeista imprescindibile. La sua adozione produrrebbe una riduzione significativa dei costi “burocratici”. Opererebbe una bella semplificazione e diventerebbe un fattore di sviluppo economico eccezionale. Sarebbe la prima vera voce comune europea.
Perchè le duecento lingue con cui pensano e parlano gli europei sono certamente una grande ricchezza (soprattutto per frotte di traduttori e studiosi di letterature nazionali), ma sono anche lacci potenti alla crescita culturale della identità europea e alla fine questo sbriciolio linguistico rallenta lo sviluppo economico e... politico e forse persino culturale del continente. La Merkel, Renzi e Tsipras facciamoli parlare tutti in inglese. E poi scegliamo il migliore. Quello che ci convince, ma parlando in inglese. Penso che ne sentiremmo delle belle. Certo, a patto che noi stessi fossimo in grado di capirle. Cosa che oggi, per molti di noi mediterranei, non accade.
Perchè forse è vero che in 70 anni si è costruita un'Europa senza preoccuparci di costruire gli europei. E noi italiani lo sappiamo bene come non sia bastato fare l'Italia nel 1860 per avere belli e pronti gli Italiani. Sì, lo sappiamo che costruire gli italiani, anche dal punto di vista linguistico, è stato un processo lungo, faticoso e ….. ancora in corso.
Per questo serve un progetto di costruzione linguistica degli europei. Almeno per chi crede nel Sogno Europeo. E il bilinguismo è uno strumento fondamentale per camminare in questa direzione.
Roberto Cerri