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domenica 07 dicembre 2025

LE PREGIATE PENNE — il Blog di Pierantonio Pardi

Pierantonio Pardi

Pierantonio Pardi ha insegnato letteratura italiana all’ITAS “ Santoni” di Pisa fino alla pensione. Il suo esordio narrativo è stato nel 1975 con il romanzo "Testimone il vino" , ristampato nel 2023 sempre dalla Felici Editore, nel 1983 esce "Bailamme" (ristampato nel 2022 con Porto Seguro editore). Negli anni seguenti ha pubblicato come coautore “Le vie del meraviglioso” (Loescher,1966), “Il filo d’Arianna (ETS, 1999) e da solo “Cicli e tricicli” (ETS 2002), “Graaande …prof (ETS, 2005) e “Il baffo e la bestia” (ETS 2021), "Erotiche alchimie" (ETS,2024) e "La disgrazia di chiamarsi Lulù" (Felici Editore, 2024). Ha curato l’antologia “Cento di questi sogni” (MdS, 2016) ed è direttore editoriale della collana di narrativa “Incipit” (ETS)

​Nicoletta Bernardini "Il caffè buono del dopoguerra

di Pierantonio Pardi - domenica 07 dicembre 2025 ore 08:00

Una suggestiva enclave laica montana che, passata la tempesta, riprende i suoi tempi, scanditi dalla lentezza e dai rituali che accompagnano la quotidianità; cose semplici come giocare a carte, spettegolare, preparare la cena. Il tutto accompagnato da un aroma che attraversa gli spazi, li contamina con il suo inconfondibile profumo, un aroma semantico e apotropaico: l’aroma del caffè che fa da cornice a tutti gli episodi di questo romanzo, quasi fosse una presenza antropomorfa, un convitato invisibile.

Non è il surrogato imbevibile dei tempi di guerra, la tempesta cui accennavo prima, è il caffè buono che sgorga dalla moka con il suo sensuale gorgoglio, con gli sbuffi sopiti della macchinetta, preludio di ogni incontro, invito alla pausa, al dialogo.

Ecco, ad es. un breve frammento:

  • - Passa il caffè, Gemma! Lo levo io dal fuoco?

Carla si alza e prende la moca, solleva il coperchio, e che profumo si sprigiona in quella cucina! Prima ancora di assaggiarlo, si gusta con l’olfatto.

  • - Ti rimette al mondo già con l’odore. Ma che sarà mai questo caffè? O come si farebbe senza?
  • - Eh, si darebbe Carla, si farebbe … Come s’è fatto quando c’era la guerra.

Un romanzo, questo, che appartiene come genere alla tradizione verista o naturalista che dir si voglia, caratterizzato da una lingua che alterna alle varianti vernacole, impreziosite dalla vivacità dei dialoghi, l’eleganza delle descrizioni; certi ambienti ricordano i quadri di Fattori, per l’icasticità e la forte componente emotiva.

Poi, certo, c’è anche un clima di suspense che grava, come un’oscura minaccia sugli abitanti e che l’autrice, con abile prolessi, dilata, creando forti e curiose aspettative nei lettori.

Via a casa veloci, mentre la neve comincia a fioccare e il paese è ancora più silenzioso. Le sagome delle case sono rischiarate dalla luce biancastra del cielo. quando nevica c’è una luce così bella, anche la notte è meno buia. A parte quell’ombra che va via, di notte, appare e scompare in paese.

Troppo più grande di loro questo mistero per i cutiglianesi. Fa paura ma si cerca di far finta di nulla.

Beh, di chi sarà quest’ombra? Non sarò certo io a svelarvelo.

Lascio invece la parola a chi, come me, ha parlato di questo romanzo, iniziando, come di consueto dalla seconda di copertina:

Nell’immediato dopoguerra il paese di Cutigliano cura le proprie ferite con i ritmi lenti e sicuri dei luoghi di montagna, ma una presenza misteriosa turba la quotidianità dei suoi abitanti, creando preoccupazione e scompiglio.

Un romanzo corale e popolare dove un forte senso di comunità e un sapore di altri tempi, più lenti e concreti, permettono di assaporare atmosfere ormai lontane: un tuffo in un passato difficile ma pieno di speranze per il futuro.

Riporto questa recensione di Cristiana Petrucci che ha analizzato in modo profondo e intelligente questo romanzo.

Da (“La voce della montagna”, 28 ottobre 2023)

Da Cutigliano, un romanzo dell’appartenenza

Nel libro “Il caffè buono del dopoguerra” di MdS Editore, Nicoletta Bernardini racconta di un piccolo mistero nell’immediato dopoguerra, che è anche uno spaccato della storia del paese. Non è la tazzina presa al volo al bancone del bar ma un gesto che lega le persone. L’autrice disegna una serie di personaggi, dal farmacista al calzolaio, dal maresciallo al maestro, dal sindaco al parroco a un variegato gruppo di donne, in un’immersione di ricordi personali ed echi di veglie di un tempo lontano.

Si racconta infatti di un piccolo mistero che movimenta la vita dei Cutiglianesi nell’immediato dopoguerra ma in realtà si fa uno spaccato della storia del paese e delle esistenze di uomini e donne che non hanno lasciato traccia nei manuali ma che, giorno dopo giorno, con le loro occupazioni e la loro voglia di vita conseguente al conflitto, hanno dato un senso ad un piccolo angolo di mondo.

Un senso che non è fatto di decisioni politiche o economiche ma di premura, di impegno e di attenzioni. Il farmacista, il calzolaio, il maresciallo, il maestro, il sindaco, il parroco e un variegato e vivace gruppo di donne a supervisionare il tutto, sono i personaggi che l’autrice ha sentito “srotolare dal suo cuore”. Il velato riferimento autobiografico e la descrizione minuziosa di modi di fare e di esprimersi testimoniano infatti un’immersione nel suo vissuto di ricordi personali negli echi di veglie in un tempo lontano che ha lasciato un alone di tenera nostalgia. E allora mentre scorrono le pagine del libro, ci si trova lì a giocare a ramino, a risuolare scarponi o al circolo politico. Il lettore si trova ad associare i personaggi del libro a persone reali, con caratteristiche che ogni abitante della montagna potrebbe aver conosciuto. Così la mente bussa al cuore che, di rimando, come in un cerchio, riporta in superficie volti conosciuti e aneddoti divenuti nel tempo eredità comune di un’intera comunità. La condivisione di un passato, seppure semplice, in cui ciascuno riconosce le sue radici identitarie, acuisce il senso di appartenenza ad un luogo e ad un gruppo di persone che, proprio in virtù di quel patrimonio comune di ricordi e abitudini, vengono percepite come affini. Da questa associazione tra le pagine del libro e il riconoscimento della propria appartenenza a quel che è derivato da quel mondo, nasce un sentimento di tenerezza.

A dispetto della durezza della vita nel dopoguerra e delle ferite lasciate dal conflitto quello che emerge dal racconto è l’ attenzione delle persone per il proprio prossimo, nei piccoli gesti che le economie familiari potevano concedere, in un piatto di farinata di cavolo, in una fetta di crostata, in un’immancabile bicchierino di caffè, un bene così prezioso per quei tempi ma che non poteva mancare per accompagnare e sottolineare veglie allegre, lenire un poco ricordi dolorosi o sancire decisioni importanti. Il caffè come rimedio ancora più buono dopo aver assaporato il caffè finto, di faggiola, di cicoria o di chissà cosa durante la guerra.

“Il caffè buono del dopoguerra “non è la tazzina presa al volo al bancone del bar ma un gesto che lega le persone per quel tempo che basta a farle sentire accolte. Un gesto che forse resiste ancora nelle nostre piccole comunità di montagna.

Ecco, è proprio con questa ultima riflessione, che Petrucci coglie il senso profondo di questa storia: il bisogno di comunicare, anche di sbeffeggiare, di fare pettegolezzi, ma comunque di condividere frammenti di una quotidianità dove non mancano le storie d’amore, i tradimenti, i misteri, gli scontri politici tra DC e PCI che evocano quasi atmosfere alla Guareschi con i suoi Peppone e Don Camillo, ma dove tutto avviene con la lentezza di un tempo sospeso, quasi fiabesco in un’atmosfera sinestetica grazie agli odori, su tutti l’aroma del caffè, i suoni e i colori del paesaggio che fanno venire nostalgia di un mondo “buono”, antico, fatto di termini familiari, oggi, quasi del tutto scomparsi dal nostro lessico quotidiano: il cordiale, le nazionali, il turchinetto, il macinino.

E poi le storie d’amore … che non vi racconterò perché vi divertirete a scoprirle da soli.

Concludo, riportando un frammento del libro, offrendo così la parola finale all’autrice:

Prima di cena gli uomini si ritrovano al caffè. Un appuntamento per alleggerire, per fare onore alla condivisione del sapere, nel rigore della segretezza.

Che poi, di sicuro, la notizia diverrà di dominio pubblico. Sono le maglie del tessuti paesano. La trama e l’ordito delle vite del paese. Tutte attaccate e intrecciate, l’una via l’altra. E il vento porta le perle di bocca in bocca, non le disperde, nulla vola via se prima non si è conosciuto, detto, risolto in qualche modo.

L’autrice:

Nicoletta Bernardini è nata il 26 aprile 1961 a Cutigliano (PT). Nel 2014 ha pubblicato un romanzo dal titolo “Una vita passata a dividersi tra Richard Gere e Dermot Mulroney. E sono pure gelosi … Nel 2020 ha vinto il Premio Nazionale di Poesia e Narrativa “ Viaggio Mon Amour” organizzato da Parigi Vera con il racconto “Il regalo della Regina”

Pierantonio Pardi

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