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martedì 19 marzo 2024

PAROLE MILONGUERE — il Blog di Maria Caruso

Maria Caruso

MARIA CARUSO - “Una vita da vivere” è il primo libro che ha scritto dopo aver visto il primo cielo a San Felipe in Venezuela ed aver fatto il primo ocho atràs a Pisa. E' in Italia dal 1977 e per tre anni ha abitato in Sicilia. Le piace raccontarsi e raccontare con le parole che le passano per la testa ballando un tango in milonga. Su Facebook è Marina de Caro

Primi passi

di Maria Caruso - lunedì 19 marzo 2018 ore 15:29

Foto di: www.mammeacrobate.com

Un folletto di nome Teodoro se ne stava avvolto nel suo mantello. Lui viveva in un bosco incantato in una casa al centro del bosco, dove poteva osservare, dalla sua finestra cosa succedeva nel mondo. Gli abitanti della Terra direbbero che di professione faceva il fotografo. Da attento osservatore si accorse che alcuni umani si muovevano al ritmo di una musica meravigliosa che a lui piaceva molto. Incuriosito decise di andare a vedere di cosa si trattava. 

Uscì un giorno dalla sua casetta rossa, per andare a scoprire, quel mondo incantato. Cominciò a chiedere informazioni a tutti quelli che incontrava fino a quando non scoprì che per ballare in quel modo occorreva andare a scuola. Si rivolse quindi a una delle scuole più rinomate della zona e al primo colloquio con il Maestro chiese: “Maestro come si chiama questo ballo che io non conosco ma che mi affascina tanto?”. Il Maestro rispose: “Si chiama Tango Argentino perché le sue origini sono di quel paese”. “Ah!” rispose il folletto per riprendere curioso: “Come si fa a ballarlo?”. Il Maestro sorridendo rispose: “Per imparare a ballare il Tango occorre andare a scuola”. Continuando: “Come per i neonati che alla nascita non sanno camminare e poi man mano che passa il tempo, fanno esperienza e imparano”. Il folletto ci pensò su un attimo e disse: “Bene allora per me sarà facile! Io so già camminare!”. 

Il maestro allora per spiegare: “Il tango è una camminata e la camminata è fatta di passi”. Proseguendo il suo dire: “Il passo è la distanza che separa i due piedi quando una persona cammina. Il concetto degli antichi Romani è quello che meglio si presta a definire il passo nel Tango Argentino, poiché essi lo intendevano come la distanza tra il punto di distacco e quello di appoggio di uno stesso piede durante il cammino. Io mi riferisco a questo concetto”. Il folletto rispose senza batter ciglio: “Voglio intraprendere il percorso di studio del Tango e voglio imparare a ballarlo”. Il Maestro per rendergli il concetto più chiaro pensò di esprimersi così: “Le fasi di apprendimento di questo ballo le possiamo paragonare a quelle del bambino quando comincia a fare appunto i suoi primi passi. La prima di queste è il ‘gattonatango’ che i discenti fanno durante le prime lezioni di prova dove sperimentano alcune modalità di movimento”. Continua precisando: “ Si balla in coppia, perciò, fin tanto che non troviamo una ballerina per te, potrai partecipare alle mie lezioni di Tango da osservatore ”. 

Folletto accetta. Alla sua prima lezione di tango studia i compagni suoi allievi: Il panorama è piuttosto pittoresco poiché alcuni strusciano i piedi, altri si aiutano con le braccia per far marciare la partner di turno, altri ancora, si muovono a scatti secondo un processo psicomotorio personale. D’istinto e, perché più forte di lui, comincia a fotografare tutto quello che vede. Osserva, inoltre, il maestro quando si preoccupa di preparare lo spazio dedicato al ballo e si avvede che egli toglie gli ostacoli dalla pista e controlla che il pavimento sia idoneo per lasciare liberi gli allievi di sperimentare il più possibile in autonomia. Si rende conto che solo così il discente acquisterà gradualmente sicurezza e si sentirà in grado di stare almeno “in piedi”. 

Poi ascolta le parole del Maestro quando incoraggia sempre l’allievo in tutti i suoi tentativi. Nota anche che i ballerini hanno scarpe diverse dalle sue perché intuisce che in questo modo essi possono imparare a spostarsi nella modalità più corretta allenando il proprio corpo a mantenere la corretta postura durante i suoi primi passi. Nel frattempo nel bosco si è sparsa la voce che Teodoro si è messo in testa di diventare un tanguero. 

Tina innamorata segretamente del folletto viene a sapere che folletto ha bisogno di una ballerina, quindi ne parla con Teodoro: “Che ne dici se vengo a fare lezione con te?”. Teodoro un po’ scontroso poiché mal si espone emotivamente le risponde: “Va bene se non sai cos’altro fare vieni pure”. Il folletto, pur andando regolarmente a lezione con Tina, non perde occasione di scattare foto per fermare un’immagine sulla carta stampata. Dopo circa un mese di lezioni si accorge di riuscire a camminare, anche se capisce e si avvede di alcune eccezioni poiché tutto dipende dalla predisposizione individuale dell’individuo. 

Comincia ad apprezzare il suo Maestro quando lo asseconda nel far fare ciò che a lui non riesce ancora senza forzature al fine di ottenere una corretta postura. Il Maestro: “Bravo Teodoro stai diventando sempre più bravo e anche tu Tina!”. Il Maestro però non dimentica nemmeno, però, di correggerli nei loro errori pensando fra se che è solo questione di tempo. Il bravo Maestro da suggerimenti minimi per sostenere l’apprendimento dei “piccoli” evitando accuratamente di renderli insicuri. 

Teodoro chiede via via al suo Maestro: “Maestro mi passerà la paura?. Quando sarò in grado di ballare?”. Egli sorride e pensa fra se: “Mio dovere è renderti sicuro e riuscire a farti distaccare da me poiché so che sarà faticoso per te farlo, caro Teodoro”. Il Maestro continua nel considerare nella sua mente: “In tanti anni di esperienza mi sono accorto che tutti gli allievi indistintamente dimenticano come hanno fatto fino a questo momento a camminare per strada, e improvvisamente, diventano dei veri e proprio robot. L’essere umano per un’inspiegabile ragione diventa una macchina dotata di connessioni guidate dalla retroazione tra percezione e azione e non dal controllo diretto del suo cervello che in quel momento appare disconnesso. L’azione del camminare prende la forma di motori elettro-magnetici facendo muovere le gambe nel tentativo di deambulare”. 

Assorto nei suoi pensieri, continua nel considerare: “Assistendo a una lezione di tango livello base- zero possiamo notare questi ‘esseri artificiali’ replicare i movimenti dei maestri in maniera goffa suscitando ilarità in quelli allievi già di un livello più avanzato. Dopo qualche tempo questi “automi” cominciano a usare un’intelligenza artificiale copiando abbastanza decentemente quanto appreso fino allora. 

Nelle milongas gli androidi intralciano generalmente le piste da ballo perché non si sanno districare, nel caso debbano uscire dagli schemi imparati a scuola”. Pertanto conclude nella sua mente: “Ci sono tre generazioni di robot perché nonostante anni di studio seguiti da alcuni allievi, le loro movenze non si discostano da quelle dei robot. Ci vuole tempo e impegno per diventare ballerini di tango”. Teodoro e Tina devono fare esperienza affinché i loro movimenti diventino fluidi ma solo quando diventeranno sensibili, si svilupperà in loro la conoscenza e la consapevolezza di ciò che eseguono con il corpo. 

Attraverso l’esperienza essi saranno in grado di saggiare dall’interno, la reale postura, facendo diventare evidente, ciò che appare. Il veder ripetere più volte gli stessi gesti, le stesse sequenze e le stesse movenze, aiuterà non poco i nostri due folletti, a fare sempre meglio. I due folletti e il loro Maestro comunicano dentro una relazione educativa. Difatti però il Maestro di tango argentino non s’identifica con il professore, giacché insegna un saper fare, un’arte come quella di ballare. Man mano che il processo di apprendimento si sviluppa, aumentano le competenze dei due neotangueri con il passare del tempo. 

A un certo punto il Maestro chiede ai due ragazzi “Perché avete scelto di fare Tango?”. Tina risponde subito: “Io perché c’era Teodoro”. Il folletto invece ci pensa un po’ su e poi dice: “Sono rimasto incantato dal vedere due corpi in movimento dentro una melodia e scattando delle foto e con calma guardandole meglio, ho potuto percepire l’emozione dentro a quei corpi”. Per riprendere la lezione, il Maestro dice: “Su, riprendiamo la lezione..”. I gesti del Maestro interagiscono direttamente con il corpo dei folletti ai quali insegna come tenere i piedi, dicendogli di non camminare sulle punte o sui talloni, di tenere le gambe unite passando dal punto zero ad ogni passo, di prendere l’energia dal pavimento, ecc., accomodando i corpi che non sanno dove e come stare, per rendere più elegante un movimento. 

Teodoro non perde occasione per continuare a fissare le immagini riflesse dai corpi altrui, tenendo fra le mani la sua adorata macchina fotografica, ma ricordando i suoi primi passi, gli si stampa sulle labbra un sorriso.

Maria Caruso

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